Quindici anni dopo la fortunata esperienza dell’esposizione la universale a Milano, che ha catalizzato sul capoluogo lombardo l’attenzione del mondo intero e che ancora oggi viene annoverata tra le manifestazioni di maggior successo nel nostro paese, è ora la volta di Roma. La capitale, tuttavia, ha avuto da sempre un ruolo nel panorama del real estate e nello scenario internazionale dei mega eventi controverso e ricco di luci e ombre.
La candidatura di Roma all’Expo 2030 vede la partecipazione per il masterplan dell’architetto Carlo Ratti in collaborazione con uno dei grandi nomi dell’architettura nazionale Italo Rota e con la firma internazionale dell’urbanista Richard Burdett.
II progetto prevede la realizzazione di un grande parco solare che porta con sé la riqualificazione di uno degli edifici di Tor Vergata e che verrà poi riutilizzato al termine della manifestazione. Un parco avveniristico che dialoga armonicamente con la storia, presente nel sito con i vicini scavi della via Appia.
Al di là dell’indubbia qualità del progetto architettonico, ancora una volta la sfida attesa è quella di sfatare il mito “è bravo ma non si impegna” che, eccezion fatta per Milano, è il leitmotiv per il nostro Paese.
Al di là dei noti effetti che un evento come l’esposizione universale può portare alla città che la ospita, come già è successo per Milano in occasione dell’Expo 2015, la Partita si gioca prima sulla squadra che dirigerà la manifestazione sin dalla sua assegnazione e in seguito sulla legacy che la manifestazione lascerà sul territorio.
Una cabina di regia quelle che ci si aspetta per Roma 2030 che, secondo quanto emerge dalle notizie di stampa, vedrà la partecipazione di molti degli attori del sistema Paese, tra cui alcune delle principali realtà industriali coinvolte in qualità di elementi dell’orchestra che dovrà portare auspicabilmente all’assegnazione nell’autunno prossimo dell’Expo a Roma, per riportarla, per almeno 6 mesi, agli antichi splendori di caput mundi.
Al di là dell’innesto negli ingranaggi del cosiddetto sistema Paese, è utile anche guardare a quello che è stato fatto A Expo 2015 e soprattutto a quanto la legacy immobiliare di quell’edizione della manifestazione sia oggi in grado di rappresentare uno dei driver di attrattività per il nostro Paese, come testimoniato anche dal recente studio d’impatto dell’area MIND.
In un settore come quello dell’ambiente costruito sempre di più legato ad altri ambiti dell’ecosistema e sempre più votati al paradigma della sostenibilità, diventa fondamentale per chi vuole prendere parte a sfide di questo tipo poter contare su best practices e benchmarking di riferimento. La graduale ma, inesorabile tendenza a dileguare format e modelli adattabili grazie anche al contributo della digitalizzazione e dell’industrializzazione dei processi può aiutare a portare a terra progetti ambiziosi che devono durare più del tempo della manifestazione sic et sempliciter.
La sfida ancora una volta sta nell’identificare i player giusti a cui delegare la costruzione di questi grandi progetti e da parte della parte pubblica l’impegno di mettere in campo tutte quelle misure necessarie alla messa a terra delle attività, senza che queste restino impigliate nelle maglie della burocrazia fine a sé stessa. E come nel caso della rigenerazione urbana, l’elemento che torna centrale è la collaborazione tra pubblico e privato sempre nel rispetto delle proprie competenze e delle proprie expertises.
di Valentina Piuma
Fonte – www.requadro.com